Monday 11 May 2015

PREPARARE IL PRIMO PARTO. Ovvero come reinventare l'acqua calda.


Nadia allo studio Triyoga




Ho sempre voluto avere una famiglia ma fino a 27 anni non mi sono mai posta il problema del parto.

Mia mamma (post-sessantottina senza peli sulla lingua) mi aveva detto una cosa del tipo "Senti male sì, ma è un male che ha un senso. Un po' come quando vai di corpo: fai uno sforzo, ma poi ti senti meglio." Devo aver avuto 15 anni e l'ho presa sul personale. Ecco un'altra ottima ragione per indignarmi contro di lei, madre snaturata che mi paragonava alle sue feci, oltre a farmi rientrare a mezzanotte il sabato sera e a non comprarmi i Levi's 501.

Dodici anni dopo sono rimasta incinta. Abitavo a Londra. Quando rimani incinta già ti poni tante domande. Lontana da casa le triplichi. Devi reinventare l'acqua calda tu da sola.

Il mio primo istinto è stato: "Un medico! Devo vedere un medico!" Raphaël era stato concepito da due settimane e un giorno e io già mi precipitavo in ambulatorio: "Sono incinta! Fate qualcosa!!" "Signora, ritorni fra tre mesi. Per ora non c'è nulla da fare" Eh?? No no no, non è possibile: questi medici inglesi sono delle mezze pippe. Mi serve un medico privato. "Buongiorno dottore, sono incinta." "Signora, ritorni fra tre mesi. Per ora non c'è nulla da fare. Sono 70 Sterline."

Insomma i medici, gratis o a pagamento, non mi hanno saputa aiutare.

Per canalizzare la mia energia in qualcosa di tangibile, ho iniziato a informarmi sui vari ospedali. Cercavo un posto dove io potessi essere seguita dalla stessa persona durante tutta la gravidanza e poi per il parto. Non sapevo niente di niente, ma mi sembrava evidente che era quella la cosa di cui avevo bisogno (forse anche perché non c'era la mamma a darmi un supporto continuo).

Invece no: nè gli ospedali pubblici nè gli ospedali privati offrivano questo servizio. Cioè, i privati mi offrivano la possibilità di riservarmi un ginecologo. Solo che lui, in caso di parto naturale, non sarebbe stato presente. Eh? Immaginate la mia confusione.

Poi, deus ex machina, arriva nella mia vita una maestra di yoga di nome Nadia Narain. Le 12.45 del sabato diventano un momento sacro per me: vado in studio, respiro, sento la mia pancia, sento il mio bambino, lui mi sente. Un giorno, alla fine della sessione, Nadia ci legge una lettera che ha ricevuto. Una nuova mamma ci racconta la storia del suo secondo parto. Una notte. Nella sua stanza da bagno. In un'ora. Dolcemente.

Eureka!

Può essere così. Può essere intimo. Può essere semplice. Può essere pieno d'amore.

E poi capisco due cose:

1) La storia della mia nascita, come la racconta mia mamma, ha senso. Un senso intimo e privato. Ora che sono donna, colgo.

2) I dottori forse non mi sono stati utili finora perché questo non è il loro campo. Non sono una donna malata. Sono una semi-dea: porto la vita dentro di me. Devo solo trovare il tempo e il modo di schiudermi (passatemi la metafora molto figli-dei-fiori).

Così indago e scopro che qui a Londra è possibile farsi seguire dalle ostetriche dell'ospedale per partorire in casa. La stessa ostetrica ti farà tutte le visite prenatali a casa tua e ti seguirà per il parto. In caso tu dovessi andare in ospedale, ti seguirà anche lì.

Ecco. Proprio questo cercavo.
"Quanto costa?"
"Meno di un cesareo, meno di un epidurale, meno di un posto letto in ospedale."
"Sì sì, no, ma intendo: quanto costa a me?"
"È gratis. Paga NHS*."

E così, grazie alle schiette parole di mia mamma, grazie a una maestra di yoga senza figli e con un training da Ina May Gaskin, grazie ad una sconosciuta che ha partorito dolcemente di notte nel suo bagno, grazie a mio marito che coglie sempre l'essenziale, grazie al sistema sanitario inglese, e grazie ad un'ostetrica che si merita un post intero, ho avuto il mio primo, meraviglioso parto in casa.

#Silvia

Google Image

* National Health Service, il servizio sanitario nazionale inglese.


2 comments:

  1. Beh, questa volta mi hai proprio convinta! Per troppo tempo la parola parto è stata sinonimo di dolore. Io ho visto che il dolore era solo una parte di quell'evento, tu sei andata avanti a mettere in luce tutta l'altra parte...

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  2. Siamo nani sulle spalle di giganti. O come direbbe il mio quasi-quattrenne che ama la precisione, "nane sulle spalle di gigantesse" ;-p

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